Attualità

​Commercianti furiosi vogliono la riapertura

Grido d’allarme di Fipe e Confcommercio: "Chiusi da 78 giorni, no a ipotesi di nuove chiusure per Natale"

Settantotto giorni chiusi. E’ un tempo “infinito” per chi ha un negozio, un bar, un esercizio pubblico, ma è quello che è successo con le restrizioni imposte dalla pandemia. Una condizione che ora, i commercianti di Fipe e Confcommercio di Siena trasformano in un grido di allarme sul futuro delle famiglie e dell’economia locale, ma anche in protesta e rivendicazione sulla riapertura.

“Sono stati settantotto i giorni di chiusura in cui le nostre imprese hanno tenuto giù le serrande, impedite a servire anche un solo cliente, mentre questo stesso cliente poteva stare in fila in un supermercato. Un fatto difficile da comprendere sotto il profilo scientifico, economico, sociale e persino umano”.
L’associazione di categoria che rappresenta i titolari di pubblici esercizi incalza: “Con senso di responsabilità, ci siamo preparati a riaprire adottando i rigorosi adempimenti previsti dai Protocolli Sanitari messi a punto da Cts e Inail; abbiamo anche investito sui dehors esterni, consapevoli del fatto che all’aria aperta i clienti si sentivano più sicuri e tranquilli”. Il dito finisce sulla “piaga” dei ristori, considerati “purtroppo inadeguati e insufficienti a compensare danni così rilevanti”.
Per questo “è urgente e vitale intervenire rafforzarli, se si vuole evitare la chiusura e la perdita di centinaia di posti di lavoro”. 

Fipe Confcommercio critica “lo stillicidio di provvedimenti nazionali, regionali ed in alcuni casi locali: chiusura alle 24, anzi no alle 23, ancora no alle 22 e poi alle 18 e infine chiusura totale, ma solo nelle zone rosse e arancioni” e rilancia: “Come se non bastasse, ora arrivano le indiscrezioni sulle chiusure nei giorni di Natale e di Santo Stefano”.
Di qui il grido di allarme degli operatori del settore: “Non possiamo assistere inermi a scelte incomprensibili nei riguardi di un settore letteralmente al collasso. C’è un fortissimo disagio, spesso anche disperazione perché si vede a rischio il futuro di aziende e famiglie”.