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Sport domenica 06 ottobre 2019 ore 10:14

"​Lo sport è un volano di sviluppo"

Pietro Mele

Pietro Mele, già al centro delle vicende di Robur e Mens Sana, spiega le opportunità di crescita ottenibili con la “Legge per gli Stadi”



SIENA — Pietro Mele, 61 anni, maggiorente della Torre, è ingegnere civile. Qualche anno fa ha creato lo Studio Strutture, sito di co-working professionale di architetti e ingegneri che si articola su molti civici del Casato di Sopra. Ha lavorato non male per la realizzazione di manufatti a Siena e altrove, finché le opere venivano realizzate. Si va da interventi al Dynamo Camp di Limestre al Palazzetto del Costone, dal recupero dell’ex Sapori a impianti in Pian del Casone, molte ristrutturazioni di interni senza urtare la suscettibilità delle Soprintendenze, ma anche collaborazioni per il sistema dei parcheggi a risalita meccanizzata a Perugia, il recupero della centrale termica Fiat a Firenze, addirittura la proposta di un ponte pedonale a Venezia, tre grattacieli di cento metri in Lettonia e tanti progetti e realizzazioni pro bono nello stato di Maranhao in Brasile, diocesi di Balsas, dove per 32 anni ha operato il frate costoniano don Ugo Montagner, sua guida di vita. La tensione allo sviluppo professionale di Pietro, a volte quasi ossessiva, nel 2013 si incontrò con una nuova legge, quella così detta “degli stadi”. Impossibilitata a garantire risorse a fondo perduto, la norma era retta da un concetto di project financing. Concedeva – e concede tuttora - a chi aveva diritti e risorse di moltiplicare le attività intorno a una struttura sportiva, e puntava a far sì che almeno una parte delle società sportive si traesse motu proprio fuori dal baratro dell’indigenza, degli accordicchi e della semilegalità. Per attuarla devono emergere alcuni parametri: una società utilizzatrice intenzionata a dare continuità alla propria attività sportiva almeno per i tempi necessari alla conclusione dell’opera; una società proponente intenzionata a finanziare l’opera, realizzarla e gestire il complesso delle nuove attività in futuro; un’intesa feconda e duratura tra i due soggetti e un piano di project financing che dimostrasse alle autorità amministrative l’effettiva volontà di crescere il Pil del territorio e non creare la così detta cattedrale del deserto. Pietro Mele non fu il solo a comprendere la portata della nuova normativa; nella sua stessa città, Siena, anche l’imprenditore Mezzaroma aveva capito tutto, tanto da avviare a tempo di record il procedimento realizzando con l’amministrazione i passi burocratici necessari. Unico, ma decisivo problema, fu che appena due mesi dopo l’Ac Siena di Mezzaroma divenne solo carta da tribunali. Quei quindici anni di calcio-champagne precedenti non esistevano più, ma rimaneva la possibilità di riprendere l’iter interrotto con una nuova società, capace di assumersi il retaggio precedente partendo dal basso. Qui inizia la storia recente di Pietro Mele, il suo assurgere a personaggio sensibile della città di Siena, la storia dei molti errori commessi e dei molti sacrifici misconosciuti. Una ragnatela complessa che l’ha spinto su un percorso dove a lui è sembrato possibile solo andare avanti.

- Lo rifaresti, Pietro? Hai messo in gioco tutto te stesso per risultati che a oggi non possono definirsi positivi. Non ne hai guadagnato né in corrispettivi incassati né in prestigio personale…

“Mi serve un respirone prima, ma sì lo rifarei, anche se non tutto nello stesso modo e senz’altro non con le stesse persone. Vedete in questa particolare branca definita dalla Legge 147, non basta fare calcoli e disegni, ma bisogna avere la visione. E la visione è doverosamente uno sviluppo per la città, un’occasione di crescita e di miglioramento. E’ sempre stato mio desiderio lasciare il segno nel far crescere la mia città e intorno alle società sportive c’è un fiorire di sentimenti, emozioni, appartenenze, giustificazioni ai fini di una motivazione per realizzare qualcosa di concreto. Per la partenza di tale sviluppo, mi proponevo come referente professionale - e non poteva essere diversamente, in quanto decine di collaboratori dipendevano dalle mie scelte -. La precedente società, l’Ac Siena, aveva goduto di finanziamenti che, secondo il Sistema Siena dovevano essere ripartiti sul territorio e non finalizzati a creare proprie strutture. E' ovvio che, finito tale Sistema, la nuova Robur doveva essere una società imprenditrice. Quale era la visione? Beh, immaginate che un bel giorno tutte le auto spariscano dalle aree a raso circostanti il Rastrello (che divengono parco urbano), nella conca ci va un nuovo stadio funzionale e vari usi a servizio della città, il centro storico si rivitalizza con nuovi accessi, tra le Rimembranze e la Lizza c’è solo verde, bambini e anziani in tranquillità, il flusso di turisti trova un luogo per ristorarsi, ammirare l’arte contemporanea (oltre che i cimeli del calcio) e avere spazi di permanenza in città. La Robur ha l'impianto e gli attrezzi per allenarsi con tutti i giovani, gli sportivi hanno sedute comode e servizi annessi, così come per gli eventi extra sportivi altrimenti non organizzabili. Nel complesso vi è il modo di realizzare spazi per il benessere, attività sportive e di recupero anche per disabili (con opere mai approcciate prima), oltre a attività commerciali simbiotiche con il tessuto economico dell’area. A me pare un bella visione, no? E il capolavoro sarebbe stato rappresentato dal fatto che la Robur avrebbe potuto contare su spazi gratuiti e un flusso considerevole di risorse in entrata per anni a venire”.

- Come per l’Ac Siena, però, il tuo sogno si è trasformato in carta da tribunali, dove stando a quanto riferito dalla comunicazione di Robur Siena tu non hai neanche troppa ragione…

“Non ho avuto la fortuna o la capacità di continuare il rapporto con Anna Durio così come lo avevo iniziato nell'ottobre 2015 in un incontro a Viareggio: lei, Federico ed io da soli, con la “benedizione” di Massimo Morgia. Evidentemente quando è arrivata effettivamente a Siena mi ha visto – o è stata indotta a farlo – solo come uno che volesse aggiungere un prezzo ai costi ingenti che aveva sopportato per entrare nella società. E che non ho tanta ragione, non è neanche vero! Ci sono al momento quattro cinque azioni giudiziarie in corso – solo una iniziata per mia volontà -, e quasi tutte ancora al vaglio degli Uffici; in qualcuna ho avuto torto, in altre ho avuto ragione, gli unici a guadagnarci al momento sono stati i nostri patrocinanti legali. Quello che ha poco senso è che sia la presidentessa Durio che io abbiamo percorso queste strade legali perché ci siamo sentiti aggrediti; in più, io personalmente, mi sentivo meglio supportato da altri imprenditori che mi avevano mostrato garanzie economiche e che ritenevo più adatti e funzionali a realizzare la sopraddetta visione. Venendo meno questi soggetti, rimaniamo solo la signora Durio ed io a vivere un’opposizione in cui non ho mai davvero creduto. E lo stesso vale per i così detti soci di minoranza, professionisti meritevoli e di prestigio che volevano solo contribuire a incrementare lo scambio economico tra la Robur e la città. Anna Durio è una donna forte, che mette impegno e coraggio in quel che fa, che ho avuto modo di apprezzare nelle rare assemblee cui ho partecipato e che ancora oggi non si è lasciata illustrare quali importanti benefici potrebbe avere per la sua attività con il progetto per il rifacimento dello stadio; progetto del quale lo Studio che ho costituito e per cui lavoro è innegabile interlocutore stante la vigenza incontestata di un contratto con la Società, in forza dell'unica vertenza legale conclusa. E inoltre c’è il fatto che negli ultimi anni mi sono addirittura cresciute le relazioni con soggetti e imprenditori del settore che potrei interessare anche alla Robur, ma non ho titolo né autorizzazione per farlo”.

- E come sei riuscito a mantenere come socio di microminoranza di Robur tante relazioni di prestigio?

“La Legge sugli stadi, appunto. Nella veste professionale che negli anni ho assunto, grazie all’impegno mio e al supporto dei miei colleghi: sono stati innumerevoli i contatti con amministrazioni e società che intendevano avviare l’iter normativo. Avrò prestato consulenza per non meno di dieci società di calcio professionistiche e svariate realtà di altri sport, dalla pallavolo, al basket, all’ippica. Avevo contatti, e ancora li mantengo, con Andrea Abodi, oggi Presidente del Credito sportivo; mi pregio di avere una collaborazione in itinere con Sportium (che è la società in ballo per la ristrutturazione di San Siro). Quello che mi distingue da molti professionisti è aver investito sul percorso tracciato dalla normativa che può rappresentare un eccellente vettore di sviluppo per molte municipalità. Necessita proprio la capacità di avere una visione, trovare soluzioni non sempre scontate e sviluppare relazioni per lavorare in sinergia. Sono soddisfatto e orgoglioso per le proposte e le richieste di contatto che mi continuano ad arrivare. Solo che non sono a Siena! E' un peccato che nella nostra città non si voglia approfondire l'argomento, anche solo per valutarne l'impatto, ma prima o poi sarà un obbligo. Ho letto recentemente di richieste di manutenzione sul Rastrello per parti fortemente ammalorate: tali richieste sono fondate. Anche nel corso della mia progettazione rilevai la presenza di materiali strutturali desueti, se non addirittura oggi fuori norma. Il fatto che a suo tempo nella costruzione si abbondò in dimensionamenti fa ritenere non immediata la richiesta di inagibilità. Tuttavia è questione di tempo: il conto alla rovescia è già scattato”.

- Basket. Ti riferirai alla Mens Sana supponiamo, un’altra vicenda cittadina sulla quale si chiede chiarezza…

“Mens Sana e non solo, giacché di strutture vetuste ne esistono ovunque. Certo anche per la Mens Sana il problema esiste. L'architetto Gianni Neri, capace professionista con cui ho collaborato, su incarico di Mens Sana Basket 1871 ha sviluppato una proposta di project financing. I contenuti riguardano le ristrutturazioni degli impianti esistenti non più rinviabili, ove la ricerca della finanza – come previsto dalla legge – proviene dallo sviluppo immobiliare annesso, prevalentemente dedicato allo sport e a un campus completo di ogni servizio di nuova concezione. Rispetto ad altre aree vi è una differenza sostanziale, che costituisce un vantaggio incredibile, cioè che l’area Mens Sana è già quotidianamente affollata e servono soltanto delle modifiche opportune per renderla più appetibile, più candidata al soddisfacimento dell’utenza, più legata alla città che avanza, oltre a quelle implementazioni energetiche non più rinviabili. Con dirigenti della Polisportiva ciò è stato inizialmente analizzato, a sicuro beneficio dei suoi spazi e della sua attività. La presenza della Polisportiva è parte fondamentale del core business dell’operazione: stiamo parlando di un’istituzione benemerita della città che non deve essere defraudata ma deve progettare cosa e come sarà nel secolo a venire. Quanto alle vicende del basket sono presto dette. Personalmente mi avvicinai alla Mens Sana per sottoscrivere un impegno economico quando l’attivazione dei tifosi portò al salvataggio del 2016. Un anno dopo, quelli che ne erano divenuti i rappresentanti, vollero un contatto con alcuni imprenditori che si erano schierati al mio fianco per sostenere l’operazione Robur: lo scopo era di interessarli, invitarli a un impegno che, carte alla mano, fu illustrato come sostenibile e scarsamente impegnativo. Purtroppo quei conti non erano veritieri e il primo ad accorgersene fu l’amministratore delegato nel frattempo subentrato. Come amministratore di una società controllante una società con personalità giuridica, di lì in poi ebbi un potere relativo come dimostra il fatto che per tutto il 2019 ho chiesto conoscenza e verifiche delle poste contabili senza alcuna soddisfazione. Avvertito dell’inevitabile quando questo si stava già producendo, ho anticipato di tasca mia quanto necessario a trattenere giocatori, a inviare la squadra in trasferta, a far aprire il PalaEstra per far giocare i giovani etc. Ho approvato anche l’ingresso nell’amministrazione speciale, ho proposto un piano di risanamento non preso in considerazione, poi non ci sono stati più margini per operare. Oggi siamo in fase pre-concorsuale: auguro a me stesso e a quanti devono avere dei soldi che quantomeno il concordato si realizzi, tuttavia non ho elementi per stimarne la certezza”.

- Qual è il rammarico principale che hai per queste vicende?

“Per altri forse non conta, ma per me il giudizio dei miei concittadini è importante. Per anni la maldicenza sul mio nome è stata più o meno collegata a fatti di Palio e al non aver mai fatto sconti all’avversaria. Stava nel gioco, e lo vivevo con orgoglio. Oggi è uno spettegolare di presunti “bene informati” che mi vogliono colluso, accanito speculatore e sedicente maneggione senza darmi capacità o spazio di replica. Sono grato alla mia famiglia, ai pochi veri amici, ai miei soci e collaboratori che hanno continuato a restarmi vicini. Agli altri cosa devo dire? Che la Robur gioca perché Pietro Mele tirò fuori di tasca propria quanto serviva a iscriverla alla serie D e tutto quello che venne dopo? Lasciamo stare, parole che non servono in un mondo che polarizza ogni informazione e sente solo che ciò che va nel senso di ciò che si vuol sentire. Grazie al cielo, ho lavori che mi attendono, cose che devo fare....Le idee di sviluppo trasformate in progetti sono per ora ferme. Peccato, perché è la nostra Siena che ci rimette”.

- Già Siena, addormentata e smemorata, ma tanto bella. Ti riproponiamo oggi una suggestione che è il nostro tormentone e che ha più addentellati con la politica. Che interpretazione dai dell’affermazione “Siena ha bisogno di prospettiva”?

“Credo che l'intento di dare prospettiva possa provenire non solo dalle istituzioni, cioè dall'amministrazione civica, dalle due università etc. anche se nutro molta positività e molte speranze in chi è preposto alla gestione di queste realtà. Potrebbe comunque servire un ente che si metta al centro e sia garante del processo di formazione delle idee. Credo che molti dei miei concittadini, e tra loro quelli più illustri, sarebbero pronti a rappresentare e condividere. Nei secoli passati la città ha sempre scoperto al proprio interno le forze per reagire e oggi esse non vengono rappresentate perché deboli al momento in cui si richiede la copertura delle risorse. Dobbiamo scindere fra l'ideazione e il finanziamento, dobbiamo elaborare visioni collettive da proporre, quando adeguatamente specificate, a soggetti internazionali. Credo, per mantenersi ai parametri dell'intervista, che un'occasione di confronto possa già rappresentarsi a contorno della candidatura a città europea dello sport... con estrema facilità, ad esempio, si potrebbe dar luogo a un evento sugli investimenti nello sport; sport quindi inteso come fonte di sviluppo. Direi che Siena sia a un bivio: una fine inesorabile se non saprà rigenerarsi in una nuova economia prendendo atto di tutto ciò che è avvenuto o un futuro diverso attraverso una nuova “visione” di sviluppo aperto all'esterno, valorizzando tutto quello che di eccellenza esiste... ma occorre crederci e lavorarci molto con unità, senza egoismi e con un’etica comune”.

RD

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