La missione di Draghi in medio oriente
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - domenica 12 giugno 2022 ore 17:00
Mario Draghi in Israele e Cisgiordania. A Gerusalemme per incontrare i vertici dello stato israeliano e a Ramallah quelli dell'Autorità nazionale palestinese. Nell'ultimo colloquio a Roma con il presidente Abu Mazen, lo scorso novembre,
Draghi aveva sottolineato che "una soluzione a due Stati, giusta, sostenibile e negoziata tra le parti resta la chiave per una durevole stabilizzazione regionale". Negoziati di pace che ad oggi sono impantanati da veti incrociati che impediscono qualsiasi progresso.
Concretezza e diplomazia sono invece le ragione alla base del viaggio del presidente del Consiglio italiano in Israele, alla ricerca delle strategiche forniture di gas alternative a Mosca. Al centro della cooperazione tra i due stati del Mediterraneo anche sicurezza alimentare, innovazione, import ed export. Ragioni bilaterali a parte, lo scoppio del conflitto in Ucraina sta rapidamente ridisegnando la geopolitica internazionale e le sue geometrie. Non a caso questa visita ufficiale giunge prossima al G7, a ridosso del vertice della Nato di Madrid, e dell'arrivo in Medioriente di Biden. L'indicazione di Washington è di serrare i ranghi nella battaglia a Putin. Semplice diktat agli alleati, ma con qualche distinguo. L'Italia con l'inasprimento delle sanzioni alla Russia ha bisogno prioritario di implementare il fabbisogno energetico, Israele del riconoscimento della sua “neutralità diplomatica” nel conflitto. Due approcci, dovuti a diverse finalità, che hanno più di un punto in comune.
Italia ed Israele condividono attualmente l'esperienza di due governi di “unità nazionale” e di una forte instabilità politica alla porta. Se Draghi può contare su un forte centralismo di governo che resiste alle fibrillazioni della sua maggioranza politica pur con l’avvicinarsi del voto, il variegato e surreale assemblement a guida Bennett, che riunisce destra, centro, sinistra e gode dell'appoggio esterno del partito arabo islamista, è sempre più una fittizia invenzione. Creato unicamente in funzione anti-Netanyahu, in questi ultimi dodici mesi, attraversati da pandemia e guerra, un po' tutti si erano illusi che la stella del longevo ex premier fosse entrata nella fase calante, relegato all’opposizione e non rappresentasse più un problema politico. Erroneamente si è creduto che “il falco” della destra avesse svuotato la faretra delle frecce da scagliare. Mentre, la coalizione di governo con il passare del tempo non ha potuto contenere e comprimere le distanze ideologiche esistenti al suo interno, liquefacendosi. Tra defezioni, divisioni, protagonismi, la vita del primo esecutivo post-Netanyahu è decisamente molto accidentata. A questo punto un cavillo puramente “tecnico” (basta solo un'altra diserzione tra le file della maggioranza) attende l'imminente fatale stacco della spina. Nel qual caso la Knesset si troverebbe difronte al dilemma di indire nuove elezioni o formare una maggioranza qualificata. Evoluzioni politiche in divenire che non alterano la stretta collaborazione ed amicizia con l'Italia.
Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi