Channukkat Bait
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - martedì 23 giugno 2015 ore 11:34
“Le forme della sinagoga di Pisa parlano il linguaggio ottocentesco dell’assimilazione, un altro tra i molti idiomi di questo giudaismo inquieto.” Scrive Giulio Busi in Lontano da Gerusalemme. La sinagoga di Pisa è tornata a splendere, dopo un lungo restauro durato otto anni. Tra le mura di questo tempio israelitico si sono raccolti in preghiera personalità uniche dell’ebraismo, come l’indimenticabile rabbino Elio Toaff e lo shadarim Rav Yossef David detto il Chidà.
Le finestre dell’edificio in via Palestro, in una domenica di sole, sono aperte e lasciano entrare la luce e il calore dell’estate. Il teatro Verdi è ben visibile, solo qualche tetto a dividere i due luoghi, il sacro e il profano. Gli antichi lampadari che scendono dal soffitto sono accesi, la sinagoga è luminosa come nella festa delle luci, nei giorni della Chanukkat, l’inaugurazione. E quella di domenica è stata una vera e propria rinaugurazione di un tempio tornato ad essere luogo di culto e, come vuole la tradizione, d’insegnamento. La sinagoga è affollata come non succedeva da tempo alla piccola comunità ebraica pisana.
Entrando le donne prendono posto a sinistra e gli uomini a destra, nel ballatoio nascosto dagli archetti il matroneo con un folto numeri di fotografi e giornalisti. Al centro la tribuna dell’officiante, Tevà in ebraico, è un palchetto di legno avvolto da una balaustra di marmo dove le autorità, i rappresentanti delle istituzioni e della comunità si alternano negli interventi della cerimonia ufficiale. Significativa la presenza, ricordata con parole di gratitudine dal rabbino della comunità Luciano Caro, dell’imam di Pisa Mohamed Khalil.
Viene ricordato che la città della Torre fu amministrata agli inizi del ‘900 da Alessandro D’Ancona, illustre membro della Comunità, direttore della Scuola Normale Superiore e del quotidiano La Nazione. Poi è la volta delle rimembranze dolorose: il rabbino Augusto Hasda e la moglie Bettina Segre che vennero avviati ai campi di sterminio; lo storico Michele Luzzati recentemente scomparso. Il più citato è Giuseppe Pardo Roques, il presidente della comunità ebraica pisana durante la II guerra mondiale, trucidato insieme ad altre undici persone dai soldati tedeschi nel 1944 in via Sant’Andrea 22, a pochi passi dalla sinagoga.
La strage nazista resta una delle pagine più drammatiche per la città che lega, tra le altre cose, la località di San Rossore all’emanazione delle leggi razziali nel 1938 e che fa dire al Sindaco Marco Filippeschi come “la memoria ci deve sempre accompagnare nella nostra vita perché non accada mai che qualcuno possa essere discriminato”. Eppure il legame tra l’ebraismo e Pisa è lontano nel tempo, risale al Medioevo. Ben prima dell’espulsione dalla Spagna degli ebrei e della diaspora sefardita avvenuta nel 1492. Molti di quei profughi, in fuga per sopravvivere, si insediarono lungo le coste toscane dando vita ad una delle principali comunità ebraiche in Italia.
Pisa e Livorno un secolo dopo, nel 1591, avrebbero “chiuso” i ghetti e consentito, con l’emanazione delle “Leggi Livornine”, agli ebrei libertà di culto e di abitare “in ogni quartiere della città, negli stessi edifici dei cristiani purché si servissero di scale diverse.” Le due città toscane con lungimiranza, che non ebbe altri casi simili per molti anni, rinunciavano a negare un’imposizione, razzista e discriminante, agli ebrei: lasciando loro facoltà di poter essere liberi cittadini.
La fine del ghetto implica per la sinagoga una maggiore centralità nella vita della comunità. La Beit Knesset ovvero la “casa dell’assemblea” assume nuova bellezza architettonica, è oggetto di maggiore cura nelle decorazioni. Il culmine artistico per la sinagoga di Pisa è con il restauro ad opera del geniale architetto piemontese Marco Treves a metà dell’ottocento, lo stesso che realizzo la sinagoga di Firenze e che come ricorda David Cassuto, figlio di Nathan rabbino capo di Firenze nel 1943 che morirà nel 1945 nel campo di concentramento di Gross Rosen: ” ha realizzato anche chiese e forse avrebbe costruito anche moschee se fosse vissuto oggi”.
Meno di due secoli dopo la sinagoga di via Palestro torna ad essere “l’istituzione pulsante del nucleo ebraico”, la “casa” e il “rifugio”. È visibile la soddisfazione, in particolare del presidente della comunità Guido Cava e del segretario Giacomo Schinasi, per il successo del restauro: nella sinagoga è un giorno di festa. Piero Nissim commuove quando ricorda la figura del padre Giorgio, eroico antifascista che riuscì a mettere in salvo più di 800 ebrei.
Per poi appassionare e coinvolgere i presenti con il canto d’inizio dello shabbat, quello della festa diChanukkha e le allegre canzoni della tradizione Yiddish. Doverosi i ringraziamenti a quanti hanno contribuito per riportare tra noi nella sua completa bellezza questo luogo. E che hanno fatto in modo che le porte dell’ Haaron Hakodesh dove sono custoditi i rotoli tornassero ad aprirsi di nuovo alla città, a tutti quelli che vorranno visitate questo luogo così emozionante.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi