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martedì 19 marzo 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

DIZIONARIO MINIMO: Abramo

di Libero Venturi - domenica 18 novembre 2018 ore 07:00

La storia di Abramo è incredibile, non nel senso che non ci si crede e se di storia si tratta. E qui già mi sono incasinato e da un miscredente come me, sia pur rispettoso e curioso, un «gentile», come mi piace ritenermi, non vi aspettate il massimo.

Abramo è un patriarca dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’Islam che infatti vengono dette anche religioni abramitiche. E pure della fede Bahai che so solo essere una religione monoteista dell’Iran. La vita di Abramo è un romanzo avvincente, raccontato da diverse angolature e scritto a più mani. La sua storia è narrata nel libro della Genesi ed è ripresa dal Corano. Non esistono testimonianze indipendenti dalla Genesi dell’esistenza di Abramo, non sembra dunque possibile attestare la sua storicità. Per la Bibbia visse verso il 2000 a.C. e morì a 175 anni. A quei tempi o contavano male gli anni -e c’entra qualcosa la matematica sumera- o li portavano meglio oppure si campava di più. Vallo a sapere. Il testo biblico che parla di lui probabilmente è opera di un redattore sacerdotale ai tempi dell’esilio babilonese. Per esilio o cattività babilonese si intende la deportazione a Babilonia dei Giudei di Gerusalemme e del Regno di Giuda al tempo nientepopodimenoché di Nabucodonosor II. Dal punto di vista cronologico, ma la questione è controversa, può essere indicato un periodo di massima compreso tra il VII e il VI secolo a.C. Comunque un bel po’ di tempo fa.

Quindi i testi dei patriarchi non sono biografie, né racconti storici, ma fissazioni per scritto di tradizioni orali, con tutte le ripetizioni e contraddizioni del caso. E c’è da capirlo: sono spesso imprecisi e talora cialtroni i giornalisti al giorno d’oggi con tutti i mezzi di comunicazione possibili e immaginabili, figuriamoci al tempo di Matusalemme o giù di lì. Quindi il periodo patriarcale ancestrale è una ricostruzione letteraria successiva. Molti studiosi asseriscono che la parte della Bibbia cristiana ed ebraica, detta Antico Testamento, contenente la Genesi, il Pentateuco, i primi 5 libri -per gli ebrei la Torah scritta- sia stata composta nel periodo persiano, cioè nel 520-320 a.C. circa. E pare che c’entrino qualcosa le tensioni per il diritto alla terra tra i possidenti terrieri ebrei rimasti in Giudea, durante la cattività babilonese, che rivendicavano Abramo come loro «padre» e gli esuli reduci sacerdotali che basavano la loro rivendicazione sulla preminenza di Mosè e la tradizione dell’Esodo. Già allora per quei popoli seminomadi, nelle vicende complesse e dolorose della storia si poneva il conflitto per una terra che divenne santa e martoriata.

Abramo significa, nella sua etimologia, uomo, padre, che sta in alto, amato, glorificato. Sembra che inizialmente si sia chiamato Avram o Abram e poi Dio gli cambiò nome. «Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò». Sta scritto nella Genesi. Interessante è l’assonanza del nome con quello di Brahman. Abraham sarebbe come Brahmâ, il patriarca dei Limbi e del Nirvana. I brahmi dicono «estinguersi in Brahmâ», così come gli ebrei dicono «addormentarsi nel seno di Abramo», vale a dire ritornare nei limbi, per i cristiani il luogo di transito in attesa della venuta di Cristo. Ma veniamo al racconto e alle riflessioni che seguiranno.

Nella Genesi si parla della discendenza di Adamo ed Eva e anche della stirpe di Caino. Da qualcuno ci deve pur venire quella parte di male di cui siamo intrisi e che nostro Signore, se esiste, lascia al libero arbitrio di ciascuno di sottomettere o tenere a bada. Almeno di coloro che non credono nella predestinazione o nel fatalismo. Ma lasciamo stare. L’elenco dei patriarchi si snoda da Adamo a Noè, quello del diluvio e dell’arca, fino alla genealogia di Abramo. Si tratta della quarta genealogia e viene dopo la confusione della torre di Babele, una costruzione postmoderna dell’epoca, e in seguito alla diffusione di lingue diverse fra i popoli, una sorta di globalizzazione primordiale.

Abramo, figlio di Terach, un fabbricante di idoli, viveva nella città di Ur con la propria famiglia. Qui sposò la sorellastra, figlia dello stesso padre, ma di madre diversa. Si chiamava Sarai -bello come verbo, ma era un nome, significava «litigiosa»- che poi si chiamò Sara, migliore come nome, voleva dire «principessa, signora». Sarai, più giovane di dieci anni circa di Abramo, era molto bella e al tempo i matrimoni fra consanguinei erano più usuali, data la ristrettezza delle tribù. La famiglia si spostò ad Haran, città della Mesopotamia settentrionale, l'attuale Harran in Turchia. Erano popoli seminomadi.

La vita di Abramo fu segnata per sempre da un incontro formidabile. Un bel giorno sentì una voce, era la voce di Dio che gli parlava. Gli ordinava di lasciare la città, dirigersi nella terra che gli avrebbe indicato e gli fece tre promesse: una discendenza numerosa, la benedizione, per suo tramite, di tutti i popoli della Terra e infine la promessa di un territorio per la sua discendenza. Abramo, che aveva all’epoca 75 anni e non era ancora riuscito ad avere figli a causa della sterilità di Sarai, obbedì: radunò tutti i suoi beni e partì con sua moglie e il nipote Lot. Quando arrivò nel paese di Canaan nei pressi di Sichem, Dio gli apparve in un luogo chiamato Betel, che significa «Casa di Dio» e gli promise che quella terra sarebbe appartenuta alla sua discendenza. Lì, Abramo costruì altari a Dio e si diresse verso la zona desertica del Neghev, all’incirca l’attuale Israele, al confine con l’odierna Striscia di Gaza e la Palestina.

Poi venne un periodo di carestia e per sopravvivere Abramo si rifugiò in Egitto, raccomandando a Sarai di spacciarsi per sua sorella nel timore che la sua bellezza potesse attrarre la cupidigia degli egizi. Nonostante questa precauzione, la voce giunse al faraone che fece condurre i coniugi a palazzo. Abramo -da non credere- lasciò che Sarai giacesse con il faraone e in cambio gli venne regalato del bestiame. Il che sembrerebbe aggravare la cosa da un punto di vista etico, ma non della carestia. Sennonché il faraone, venuto a sapere di essere stato ingannato circa lo stato civile di Sarai, andò su tutte le furie, come riporta la Genesi. «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? Perché hai detto: è mia sorella, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vàttene!». Macché sorella e sorella d’Egitto! E li cacciò. Che poi in effetti Sarai, di Abramo era anche sorellastra, non era proprio una bugia. Ma meglio così.

Allora Abramo tornò nel Neghev e si separò dal nipote Lot, che scelse di trasferirsi nelle vicinanze della città di Sodoma, i cui abitanti erano sodomiti. E non facciamo commenti. Comunque, ad aggravare il quadro c’era anche la città di Gomorra con quel che segue. Che poi si dice sempre Sodoma e Gomorra, ma erano città vicine tipo Massa e Carrara o le accomunava solo il vizio e la corruzione? Vabbè. Ci furono distruzioni e saccheggi e Abramo si distinse in imprese militari e magnanimità d’animo con gli sconfitti. L’importante è che Dio di nuovo gli rivelò che in lui sarebbero state benedette tutte le genti e che a lui sarebbe stata concessa una discendenza numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare. Dio cioè confermò ad Abramo l'alleanza che si sarebbe estesa a tutta la sua discendenza. Però Sarai era sterile e avanti negli anni, così fu lei a consentire ad Abramo di intrattenere rapporti con la schiava egiziana Agar dalla quale ebbe un figlio chiamato Ismaele, che significa «Dio ascolta». Con Sarai c’era grande amore e tolleranza: lei aveva giaciuto con il Faraone e ora lui giaceva con Agar. Tutto questo sembra incredibilmente moderno.

Sennonché Dio apparve nuovamente ad Abramo tredici anni più tardi e gli annunciò che Sarai gli avrebbe dato un figlio legittimo, nonostante l'età avanzata. Fu allora che Dio cambiò il suo nome da «Avràm» o «Abram» in «Avrahàm» o «Abramo» e quello di sua moglie «Sarai» in «Sara». E, ad abundantiam, dettò anche il precetto della circoncisione, come segno dell'alleanza di Abramo e della sua casa. Fu per un motivo di distinzione o per ragioni igienico-sanitarie? Comunque un precetto impegnativo. Una notizia curiosa per noi circoncisi non osservanti.

Ma veniamo al punto. Un giorno, Abramo vide davanti alla sua tenda tre uomini e li invitò a riposarsi. Diede loro dell'acqua per lavarsi i piedi e Sara preparò delle focacce e del vitello da mangiare. Al tempo le persone erano un po’ più ospitali e inclusive che al giorno d’oggi. I tre, al momento di andare via, assicurarono che Sara, l'anno successivo, avrebbe avuto un figlio. Sara, nell'udire queste parole, si mise a ridere, perché era sterile e troppo vecchia per restare incinta. Lei portava benissimo gli anni, ma ne aveva 90 e Abramo un centinaio, un giovane antico. Allora i viandanti risposero dicendo che niente è impossibile a Dio. Già che c’erano, informarono anche Abramo della volontà del Signore di distruggere Sodoma e Gomorra. E c’era il suo perché quanto a corruzione: corsi e ricorsi storici. Abramo, nel suo senso di giustizia, propose di salvare le città se si fossero trovati almeno dieci giusti. Suo nipote Lot si salvò, ma fu molto chiacchierato e per Sodoma e Gomorra non ci fu verso. Per la fortuna postuma di Marcel Proust, «Alla ricerca del tempo perduto», quarto volume.

Però l’importante fu che, detto fatto, l'anno dopo, a primavera, Sara ebbe miracolosamente un figlio e lo chiamò Isacco, cioè «risata» o meglio «sorriso di Dio», perché non solo lei rise ascoltando la promessa, ma disse che anche chi avrebbe udito di una novantenne che partorisce avrebbe riso. Oltre che molto bella doveva essere una donna molto spiritosa. Abramo era un uomo fortunato. In seguito però scoppiò una violenta gelosia tra Sara e Agar: le donne non sempre si sopportano tra loro e non dimentichiamo che Sara di primo nome faceva “litigiosa”. Così Abramo decise di allontanare, nel deserto di Paran, Agar e suo figlio Ismaele, dando loro un pane e un otre d'acqua. E questo non fu bello: potevano essere una famiglia allargata. Ma forse ciò simboleggiava il passaggio, che pure non tutti seguirono, dalla poligamia alla monogamia.

Intanto Isacco crebbe ed era già un ragazzo, quando Dio chiese ad Abramo una terribile prova. Gli disse di andare sul monte Moria -che già il nome non era augurale- e di sacrificare suo figlio. Isacco non aveva compiuto nessun male, né si era macchiato di alcun peccato. Nonostante questo, Dio pretendeva il suo sacrificio. Con tutto ciò, Abramo non ebbe dubbi, non ne parlò nemmeno con Sara e accettò. Ubbidì, si recò sul monte, legò Isacco e stava per compiere il sacrificio, quando apparve un Angelo: gli annunciò che Dio aveva apprezzato la sua ubbidienza, gli impose di fermarsi e lo benedisse. Isacco era salvo. Non è sconvolgente tutto questo?

Tra l’altro secondo alcune tradizioni l’Angelo non arrivò esattamente puntuale. Tanta fu la risolutezza di Abramo, che non fece a tempo a fermare il primo fendente che ferì Isacco alla gola forse compromettendo le corde vocali. E questo spiegherebbe il silenzio successivo di Isacco, uomo descritto come mite e silenzioso. Il quale era stato un «sorriso di Dio» per la madre, ma forse ebbe poco da sorridere con quel che gli capitò. Mamma non aveva esattamente fatto i gnocchi. E tuttavia anche la sua fede fu integerrima. Abramo era un vecchio e Isacco un giovane: avrebbe potuto facilmente ribellarsi all’autorità paterna, ne avrebbe avuto la forza e, diciamo la verità, anche la ragione. Eppure non oppose resistenza, rimase fermo e obbediente di fronte al volere di Dio. Pronto a morire, incurante della sua stessa vita. Ed è immaginabile il dolore di Abramo di fronte alla richiesta del sacrificio di Isacco. Le primizie erano per il Signore? Ma il Signore non proibiva i sacrifici umani e le empietà? E quello era il suo figlio, quello che Lui, Dio stesso, gli aveva annunciato, predicendogli una stirpe numerosa! Chiunque avrebbe vacillato, cercando un perché senza trovarne ragione. Io avrei disubbidito ancor prima che Don Milani ci dicesse quelle cose sull’ubbidienza e che non era più una virtù. Mi sarei domandato: che Dio è quello che mi chiede di uccidere e di uccidere un figlio? È un Dio giustiziere che non è solo amore e assoluta bontà, ma che ha, come me, la complessità del bene, ma anche dell’odio e del male. Un Dio da non credere. Ma Abramo no. Vince il dolore, non dubita, la sua fede è più forte della sua morale e della sua ragione, la sua fede in Dio è assoluta e pensa che, anche se Isacco morirà, il suo Signore lo riporterà in vita per assicurare la promessa della progenie e confermare la sacra alleanza con lui ed il suo popolo.

Alla fine Abramo offrì a Dio o ad Allah il sacrificio di un montone al posto del figlio. Infatti anche in una sūra del Corano quel sacrificio è descritto. Solo c’è incertezza nell’individuazione del figlio: la tradizione islamica è divisa nell'identificare Ismaele o Isacco, ma prevale la prima interpretazione, dato che l'islam considera Abramo antenato del popolo arabo, proprio attraverso Ismaele. Tra l’altro si vorrebbe che i discendenti dell'ultima moglie di Abramo, Ketura, sposata dopo la morte di Sara -o quante ne ha fatte il patriarca!- possano essere riconosciuti in sedici gruppi protoarabi di nomadi.

In ricordo di questo evento i musulmani, il decimo giorno del «Mese del Pellegrinaggio» celebrano la «Festa del Sacrificio», nota nel mondo islamico come «Festa dell'Offerta» o «Festa Grande» e anche detta «Tabaski». In Senegal durante la ricorrenza vedi girare per il paese mandrie di capre, a molte delle quali non importerebbe fare le lastre da quanto sono magre, tanto gli si vedono le costole: sono per il sacrificio. Lo Stato, dà un aiuto -ogni paese ha i suoi sussidi- alle famiglie povere per comprarsi il capro espiatorio. E sul capro espiatorio, dal Signor Malaussène di Pennac ai populisti che ne fanno una professione, è qui il caso di sorvolare.

Quando i primi senegalesi venuti in Italia sgozzavano un capretto, per la gioia degli animalisti, e tutti gridavamo all’empietà, in realtà si trattava di un precetto di religione. E i precetti religiosi, quanto più i popoli credenti si rifanno all’osservanza di testi come la Bibbia, la Torah, il Corano che non hanno storicizzato e secolarizzato la loro dottrina passando dall’Antico al Nuovo Testamento, con il Vangelo, con la Chiesa, come il cristianesimo, tanto più le tradizioni fideiste sono forti e tramandate. Irriducibili.

Pensiamo al divieto di mangiare maiale, probabilmente carne grassa che si guastava più facilmente a latitudini più calde, di bere alcolici, che in effetti se uno non ci sta attento, bene non fanno. Ma allora perché non il fumo? Pensiamo a tutte le modalità complicate e restrittive della macellazione e della cucina kosher che vuol dire «conforme alla legge» per gli ebrei: la carne che non si accosta al latte, il divieto di mangiare animali che hanno lo zoccolo diviso, animali marini senza squame e pinne. Pensiamo al Ramadan dei musulmani. Con tutto rispetto, non chiedetemi perché, si tratta dell’interpretazione pedissequa, rigorosa e secondo me talora fanatica di qualche versetto. Comunque dura da tremila anni, hai voglia te!

E che dire dei Testimoni di Geova -di Genova? O che ci girate da queste parti? Gli disse la nonna del Fiumalbi al Villaggio degli Ignudi- che per un passo biblico ritengono empio mescolare il sangue e quindi rifiutano trasfusioni a costo della loro vita e quella dei loro, talora ignari, figli. Dio francamente non credo voglia questo e spero, anzi, disapprovi. E delle cose più leggere rida, perché o non c’è o se c’è sarà l’assoluto anche in fatto di ironia. In un mondo dove ancora i bambini muoiono di fame e di sete che volete che faccia ai suoi occhi se uno mangia la carne il Venerdì e magari maiale o molluschi, se beve un bicchiere di vino ai pasti o se digiuna non essendo povero o sovrappeso? E nemmeno credo sia per forza vegetariano o vegano. Lascerà anche questo al libero arbitrio e al nostro buonsenso che purtroppo non è assoluto quanto il suo.

Dio sembra aver voluto però la morte di un figlio e questo a me continua a sembrare «imperdonabile», ne hanno trattato Kierkegaard e Thomas Mann, non sarò certo io a giudicarlo. Chissà come avrebbe preso, Dio, una disubbidienza da parte di Abramo, di Isacco o Ismaele. Come sarebbe andata, in quel caso. Forse non si sarebbe imposto il dogma della fede o affermata la fede come dogma. Come cieca convinzione. E personalmente, pur non credente, avrei preferito. Oppure, a leggere Borges, ci sarebbe stato bisogno di un Giuda antesignano per il sacrificio. Poiché forse quel sacrificio, richiesto ed evitato ad Abramo nella Genesi, prefigurava già il suo nel Vangelo. Perché Dio sacrificò per noi suo figlio Gesù, nato dalla stirpe di Davide e dalla discendenza di Abramo. Era il suo unico figlio e non lo risparmiò. Lasciò che morisse per l’umanità. E questo ci commuove.

Trentadue anni dopo aver partorito Isacco, Sara muore. Probabilmente nel 1901 a.C.. Aveva 127 anni. È l'unica donna di cui l'Antico Testamento fornisce l'età. Da allora alle signore non si chiede. Abramo seppellì la moglie nella grotta del campo di Macpela, nel paese di Canaan, che egli stesso aveva comprato dagli Ittiti molti anni prima, come terreno sepolcrale. Il padre dei popoli, dopo aver tanto vissuto, aver condotto la sua tribù attraverso il deserto nella mezza luna fertile, aver generato figli e discendenza, incontrato genti in pace e in guerra, nel lungo cammino della fede verso il riconoscimento di un Dio unico, morì, centosettantacinquenne, vecchio e sazio di giorni. Venne sepolto dai figli Isacco e Ismaele, rappacificati, accanto alla sua Sara, vicino a Hebron, in arabo Khalīl, ossia "Amico [di Dio]". Là, in Palestina, i patriarchi riposano, hanno trovato pace. La loro terra ancora no. Buona domenica e buona fortuna.

Pontedera, 18 Novembre 2018

Libero Venturi

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