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martedì 19 marzo 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

DIZIONARIO MINIMO: L'incontro

di Libero Venturi - domenica 23 dicembre 2018 ore 07:00

Ho partecipato, sotto mentite spoglie, all’iniziativa promossa tempo fa dal Circolo di Piazza Stazione di Pontedera per rievocare uno storico incontro. Il tema infatti era “Léopold Sédar Senghor, Presidente del Senegal e Giorgio La Pira, Sindaco di Firenze: storia di un’amicizia”.

Leopold Sédar Senghor è stato il primo Presidente della Repubblica del Senegal, dopo la liberazione dal colonialismo francese. Il suo mandato durò dal 1960 al 1980. Laureato in lettere a Parigi, letterato, poeta, uomo di vasta cultura, Presidente cattolico di ispirazione socialista, in un paese a maggioranza di fede islamica. Ricostruì il Senegal e varò la Negritudine, la rivendicazione della cultura e dell’arte africana. Ho avuto la fortuna di visitare la Biennale des Arts di Dakar, oggi si chiama Dak’Art. Le opere degli artisti africani contemporanei che ho potuto ammirare, mi sembravano “più avanti”, non saprei come dire. Avevano acquisto gli stili, la cultura dell’arte europea, come Senghor, però esprimevano un innato primitivismo simbolico, ricercato dagli artisti occidentali. Ovviamente non sono un esperto.

Giorgio La Pira, giurista, professore di diritto, terziario domenicano e francescano è stato Sindaco di Firenze dal 1951 al 1957 e dal 1961 al 1965. Fu eletto nell’Assemblea Costituente e deputato al Parlamento della Repubblica nelle file della Democrazia Cristiana. Ricostruì Firenze che propose come centro di un nuovo umanesimo e città “Regina della Pace”. Soprannominato il “Sindaco Santo” -sindaci così non se ne sono visti più- è stato dichiarato Venerabile dalla Chiesa Cattolica.

Quella fra Senghor e La Pira fu ben più di una storia di amicizia. Si incontrarono a Firenze in Palazzo Vecchio. Cosa ebbe di straordinario e di sorprendente il loro incontro? Innanzitutto la data. Era il 1962 e non erano anni facili.

Nel 1961 l’Unione Sovietica aveva innalzato il muro di Berlino, dividendo Germania ovest e Germania Est. Nel 1962 la crisi dei missili sovietici a Cuba aveva fatto temere uno scontro frontale fra le due superpotenze Usa ed Urss. Il mondo era dominato dalla guerra fredda e diviso in blocchi contrapposti, l’Alleanza Atlantica e il Patto di Varsavia. Questo quadro oltretutto non contemplava l’affacciarsi sulla scena internazionale dei paesi africani affrancati dal colonialismo europeo. In Sud Africa vigeva l’Apartheid, in America la discriminazione razziale. In oriente proseguiva il conflitto Vietnamita che coinvolgeva indirettamente Russia e Cina e, di lì a poco, avrebbe registrato l’intervento degli Stati Uniti. La Pira e Senghor si incontrarono dunque per tre ragioni.

Sicuramente i due leader avvertivano il pericolo incombente sul mondo e sentivano la necessità di gettare ponti tra culture, fedi e paesi in nome della pace e della sicurezza, contro la paura di un ritorno alla guerra. Era quindi una ricerca di sicurezza quella che in primo luogo li spingeva ad incontrarsi ed unirsi. Entrambi uscivano da un mondo in cui aveva prevalso la violenta affermazione della divisione dei paesi, delle nazioni, delle fedi, delle razze, che aveva avuto il suo culmine nel colonialismo e nelle due guerre mondiali.

Il secondo motivo alla base del loro incontro fu dato quindi dalla volontà di assecondare uno dei possibili ed auspicabili movimenti, quello verso l’unità dei popoli, che è il sogno di tutte le fedi laiche e religiose. Unità come espressione di uguaglianza, giustizia, fratellanza e solidarietà. Unità di identità diverse, una di queste la Negritudine rivendicata da Senghor. Identità non affermate l’una contro all’altra, bensì ricercate insieme, pur nella loro distinzione, per assecondare il moto universale dei popoli verso una comune fratellanza. C’è dunque l’affermazione della mondialità, la scoperta dell’uomo, in quanto essere planetario, concetto che tornerà circa venti anni dopo con Padre Ernesto Balducci, che con La Pira collaborò. Si trattava del superamento del concetto di internazionalismo proletario e anche di qualcosa di più ampio delle logiche terzomondiste, che furono un ripiegamento successivo del fronte religioso e laico. L’aspirazione al mondialismo sorgeva dall’individuazione del bisogno di un “governo” del mondo, oltre l’economia di mercato e quella di stato, sistemi entrambi incapaci di assicurare giustizia e libertà e di mettere l’uomo, la persona, la sua identità e dignità -oggi avremmo detto anche l’ambiente- al centro delle politiche socio-economiche.

La terza ragione che sostenne l’incontro tra La Pira e Senghor era data dal messaggio di speranza, di pace e di unità, lanciato dal Concilio Vaticano II che Papa Giovanni XXIII aprì nel 1962 e, alla sua morte, fu portato avanti e concluso da Paolo VI. I due leader cattolici se ne facevano così interpreti e messaggeri in nome della fede.

A Pontedera nel 1962 e in quegli anni la questione razziale si chiamava Franco. Era un ragazzo più grande di me, che allora avevo dodici anni. Non ne ricordo il cognome. Ed è strano perché sono abituato a chiamare tutti solo per cognome. Strano, ma non casuale. Perché Fabio per tutti era Fabio nero. Stava Forderponte, mi pare. Era nato dalla relazione di una pontederese con un soldato di colore di stanza nell’esercito di liberazione durante la seconda guerra mondiale. “È nato ‘nu criaturo, è nato niro...”, come la Tammuriata nera. I più simpatici di noi lo chiamavano “Raggio di sole”, quelli ancora più spiritosi “Biondo”. I ragazzi toscani sanno essere molto simpatici e spiritosi. Lo voglio ricordare, Fabio: fu un dipendente comunale, un netturbino, oggi si direbbe meglio operatore ecologico. Morì in un tragico infortunio sul lavoro, travolto dal camion della nettezza urbana. C’era all’epoca un altro riferimento relativo alle questioni razziali che ricordo. Nel 1961 era avvenuto l’eccidio di Kindu. Nell’ex Congo Belga, sconvolto dalla guerra civile, 13 aviatori italiani del contingente Onu della 46º aerobrigata di Pisa, furono trucidati da soldati congolesi. Accanto all’Aeroporto di Pisa c’è il Sacrario di Kindu che ricorda questo tragico evento. La Preside della scuola media Curtatone, che per merito e bisogno, mi assegnò una borsa di studio, consegnatami in una cerimonia all’Albergo Armonia, quando eravamo indisciplinati, usciva dalla Presidenza e ci apostrofava così: “Congolesi! Smettete di fare confusione!” Chissà perché mi è rimasto in mente, come l’eccidio.

Insomma Senghor e La Pira si incontrarono nel loro tempo per affermare tre cose: la sicurezza, la mondialità e la fede. E pensate a come cambiano il tempo e le cose. Oggi parlare di sicurezza si pensa di poterlo fare, non gettando ponti, promuovendo incontri e aperture o seminando speranze, come fecero Senghor e La Pira. Oggi qualcuno, anche i nostri governanti, pretende di farlo erigendo nuovi muri, predicando chiusure, diffondendo paure e sbandierando sovranismi e populismi nazionali.

Anche il concetto di mondialità di allora, oggi sembra rivestire un alone di ambiguità. Si tende infatti a confondere l’aspirazione alla mondialità con la globalizzazione, intesa come dominio del mercato dei paesi ricchi o delle multinazionali con la conseguente sopraffazione e subordinazione dei più poveri. E ai tempi nostri bisogna più che mai precisare che l’unità non va privata del rispetto delle varie identità e quindi delle diversità. “Unità nella diversità” fu lo slogan di Togliatti, il Migliore. Con un significato più esteso è stato adottato dall’Unione Europea che però per ora mi sembra lo traduca capovolto: diversità nell’unità.

Quanto alla fede, essa travalica gli anni e resta la stessa. Giovanni XXIII ricorda un po’ Papa Francesco. Anche se allora era la Chiesa che si apriva e chiamava al Concilio e oggi sembra sopratutto il grande afflato del pontefice ad esprimersi in una Chiesa che non appare, sempre e tutta quanta, pronta a riconoscerne il messaggio riformatore.

Sosteneva La Pira: “Ogni Uomo possiede qualche elemento spirituale che serve ad integrare la personalità di tutti gli altri. Ciascuno è debitore di tutti e tutti sono debitori di ciascuno. C’è dunque una relazione intrinseca di ciascuno a tutti... come in una sinfonia una nota è in relazione a tutte le altre. È questa la legge dell’integrazione che genera e presiede la società umana”.

Senghor diceva al suo popolo e a tutti coloro che hanno un messaggio mai detto da esprimere: “La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi rapporti delle civiltà straniere”. Scrive in una poesia: “Ma basta aprire gli occhi all’arcobaleno d’aprile, / e le orecchie, soprattutto le orecchie, a Dio/ che con un riso di sassofono creò il cielo e la terra in sei giorni./ E il settimo giorno, dormì del grande sonno negro”.

Secondo Chiara Lubich “Il modello di uomo per le future generazioni è l’uomo dell’unità... Ci sono adesso tante guerre, catastrofi, minacce. Però c’è nell’aria un segno dei tempi...l’unità. Cioè il mondo nonostante tutto...tende all’unità”. Alla fratellanza universale. Speriamo sia vero. Io non sono credente, ma credo che lo sia. Un tempo noi “L’Unità”, intesa come giornale, si diffondeva nelle case e in suo nome si facevano feste. Ora non esiste nemmeno più. Non era proprio la stessa cosa, comunque ognuno deve scegliere che strada fare e far fare al mondo: se verso l’unità o verso la divisione. Deve giudicare verso quale delle due strade oggi ci stiamo incamminando. E quale sia la più giusta e anche la più sicura. Buon Natale, buona domenica e buona fortuna.

Libero Venturi

Pontedera, 23 Dicembre 2018

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Giorgio La Pira: “Principi”. Léopold Sédar Senghor: discorso per il conferimento del titolo di Presidente dell’Accadémie Française nel 1983, poesia “A New York”. Chiara Lubich: “Conversazione con i giovani”.

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